E’ durata ben 4 anni, ma alla fine l’abbiamo spuntata definitivamente.
Una battaglia giudiziaria a difesa delle ragioni di K., cittadino della Guinea Bissau che rischiava l’espulsione, dopo 15 anni vissuti nel nostro Paese nell’assoluto rispetto delle leggi e lavorando, sempre, regolarmente.
Il lungo lasso di tempo trascorso, il suo inserimento sociale, la sua giovane età, il conseguimento di una stabilità lavorativa e di un reddito sufficiente in Italia, avrebbero dovuto consigliare il rinnovo del permesso di soggiorno.
E invece no, è stato costretto a rimanere imbrigliato tra gli artigli di una legislazione da riformare.
All’uopo, ritengo che la materia dell’immigrazione vada trattata con il necessario apporto di umanità, ma anche con serietà, pragmatismo, senza alcun pregiudizio e mettendo da parte qualsivoglia (aggiungo) inutile ideologia politica.
Ad esempio, sono convinto che non possa essere negato il permesso di permanere sul territorio italiano a chi nel nostro Paese già lavora con stabilità, vive nella legalità ed ha avviato un serio percorso di inserimento sociale.
Ed è proprio questo il caso di specie.
Un ragazzo che da 15 anni vive in Italia, lavora con costanza e per fare ciò è lontano dai propri affetti da pari data, non può essere rispedito all’inferno.
Per fortuna, in Italia esiste la possibilità di ricorrere alla Giustizia che, seppur in mostruoso ritardo, riesce ad intervenire e colpire le INgiustizie.
Il Tribunale di Reggio Calabria, che cito proprio per dare merito ai Magistrati che si sono occupati della vicenda, con una sentenza che mi auguro possa fungere da precedente in situazioni analoghe, ha attribuito rilievo, ai fini della valutazione della sussistenza del diritto del Ricorrente alla protezione speciale, alla lunga permanenza in Italia e al livello di integrazione lavorativa raggiunto.
Ciò valutando positivamente la copiosa documentazione prodotta, dalla quale è emerso l’impegno profuso in questi 15 anni al fine di integrarsi nel territorio italiano che lo ha accolto.
Il costante impegno lavorativo protratto nel tempo, quindi, è risultato dirimente.
L’eventuale rimpatrio di K. avrebbe interrotto proprio quello che è stato definito dal Collegio come “…il lodevole processo di integrazione in atto” che la difesa ha pienamente dimostrato e documentato e lo avrebbe costretto a tornare, a quel punto, in un Paese da cui è ormai lontano da oltre 15 anni per lasciare, invece, l’Italia, Paese in cui ormai si è integrato dal punto di vista lavorativo, così, danneggiando gravemente la sua vita privata e lavorativa.
Si chiude, quindi, una vicenda giudiziaria che mi ha consentito di sostenere e, per fortuna, riuscire a far affermare importanti principi sul piano giuridico, ma dalla quale ho tratto grandi insegnamenti sul piano umano che mi gratificano più di ogni altra cosa.
Quelle lacrime, quei sorrisi, quella felicità di K. non hanno pari.
Buona fortuna amico mio.
Avv. Pasquale Saffioti
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