
Massima
“…l'onere di fornire la prova che l’opera ubicata su area esterna al centro abitato esista da epoca antecedente alla data di entrata in vigore della L. 6/8/1967, n. 765, così da escludere la necessità di titolo edilizio, grava sul privato e non sull'amministrazione, la quale, in presenza di un manufatto non assistito da titolo abilitativo che lo legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarlo ai sensi di legge (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 7/1/2020, n. 106; 18/10/2019, n. 7072)”.
La vicenda
La vicenda in commento trae origine da una ordinanza di demolizione adottata da un Comune calabrese con la quale veniva ingiunto al sig. V. la demolizione di un “… manufatto in cemento armato a due piani fuori terra della superficie di mq. 140,00 circa ed un’altezza di mt. 6,00 con solaio a due falde…., in area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale e zona di protezione speciale ai sensi della Direttiva Comunitaria n. 94/43 CEE Habitat”.
A quel punto il sig. V., ritenendo l’ordinanza illegittima, la impugnava innanzi al TAR Calabria che, tuttavia, respingeva il ricorso incoato.
Non si costituiva in giudizio il Comune.
Pertanto il sig. V. proponeva appello, rilevando, sostanzialmente l'errore del Tribunale nel ritenere una mera irregolarità l’inesatta identificazione catastale dell’immobile avvenuta con l’ordine di demolizione.
In particolare, l’erronea individuazione della particella avrebbe reso l’ordinanza n. 9/2018 del tutto incomprensibile, poiché non avrebbe consentito la corretta individuazione del manufatto da demolire.
Aggiungasi che, secondo l’appellante, il provvedimento repressivo sarebbe stato adottato in assenza di una corretta istruttoria e di un’adeguata motivazione, in quanto non sarebbero state indagate le ragioni della constatata mancanza del permesso di costruire, non sarebbe stata individuata la data dell’edificazione e non sarebbe stato considerato il momento di apposizione del vincolo paesaggistico.
Inoltre, nel respingere il ricorso, il giudice di prime cure avrebbe contraddetto alcuni suoi precedenti coi quali aveva annullato ordinanze di demolizione non sorrette da adeguata istruttoria.
Il comune, infatti, avrebbe potuto adottare l’ordine demolitorio solo previa comunicazione ex art. 7 della L. 7/8/1990, n. 241, il che avrebbe consentito all’appellante di dimostrare il carattere non abusivo del fabbricato, realizzato antecedentemente al 1967, ancorché privo di titolo edilizio.
Infine, secondo il sig. V. il fabbricato sarebbe ubicato nel vigente strumento urbanistico comunale, in zona B.EE1 – di completamento, ovvero in una zona comprendente gli insediamenti urbani preesistenti al 1967 che necessitano di essere ultimati e, comunque, sarebbe conforme anche al nuovo strumento urbanistico.
La decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, con recente pronuncia, in ordine al primo motivo di ricorso relativo alla non corretta identificazione dell’immobile e all’errata indicazione della particella catastale nell’ordinanza di demolizione, ha ritenuto la doglianza priva di pregio.
In particolare ha inteso sottolineare come “…l'erronea individuazione catastale del manufatto abusivo non sia idonea a inficiare l'ordine di demolizione, nell’ipotesi in cui il destinatario sia in grado di identificare univocamente il bene a cui l’ordine stesso si riferisce, risolvendosi, in tal caso, l’inesattezza in una mera irregolarità.”.
Nella specie, ha evidenziato la piena consapevolezza e individuazione da parte dell'appellante del manufatto oggetto del provvedimento repressivo (circostanza dimostrata dagli stessi documenti di parte perizia giurata su tutti) e, pertanto, la non corretta indicazione dei dati identificativi della particella catastale interessata dall’abuso era da considerare come il frutto di un mero errore materiale.
In ogni caso, a prescindere da ciò, non era da considerarsi un vizio dell’atto, atteso che l’esser “titolare” di una determinata unità immobiliare, non esclude la possibilità – teorica - di realizzarne abusivamente un’altra.
L’ordinanza era, infatti, diretta all’appellante non in quanto proprietario del manufatto, ma in quanto responsabile dell’abuso.
Per quel che riguarda l’altro motivo di appello ovvero la costruzione legittima del fabbricato, risalendo questo a epoca precedente al 1967, il Consiglio di Stato è stato netto nel rigettare la doglianza e a richiamare un principio pacifico nella Giurisprudenza Amministrativa, secondo il quale “…l'onere di fornire la prova che l’opera ubicata su area esterna al centro abitato esista da epoca antecedente alla data di entrata in vigore della L. 6/8/1967, n. 765, così da escludere la necessità di titolo edilizio, grava sul privato e non sull'amministrazione, la quale, in presenza di un manufatto non assistito da titolo abilitativo che lo legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarlo ai sensi di legge”. (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. VI, 7/1/2020, n. 106; 18/10/2019, n. 7072)
Tale prova “…dev’essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a semplici dichiarazioni rese da terzi o a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, ivi comprese quelle attestanti la costruzione del manufatto ante 1967, incluse nei contratti di compravendita ex art. 46 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, in quanto, come tali, non suscettibili di essere verificate”. (Cons. Stato, Sez. VI, 4/3/2019, n. 1476; 9/7/2018, n. 4168; Sez. IV, 30/3/2018, n. 2020)
Su tali principi, nella fattispecie, ha ritenuto non raggiunta la prova della realizzazione dell’edifico prima del 1967.
Tale onere probatorio non può nemmeno dirsi assolto sulla base del principio di non contestazione, atteso che, come si ricava dall’art. 62, comma 2, c.p.a., “…affinché il medesimo possa operare occorre che la parte cui spetterebbe contestare i fatti addotti sia costituita in giudizio, mentre nella specie il Comune di Cutro non si è costituito”. (Cons. Stato, Sez. VI, 6/2/2019, n. 903)
Altrettanto dicasi in ordine alla possibilità del giudice di “desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo” di cui all’art. 64, comma 4, del c.p.a..
Sul punto ha precisato ancora che “…in ambito processualcivilistico, si è ritenuto, con affermazioni pienamente estensibili al processo amministrativo, che la disciplina della contumacia non attribuisce a questo istituto, salva espressa previsione (nella specie assente), alcun significato sul piano probatorio, con la conseguenza che si deve escludere non solo che essa sollevi la controparte dall'onere della prova, ma anche che rappresenti un comportamento valutabile, ai sensi dell'articolo 116, primo comma, c.p.c., per trarne argomenti di prova in danno del contumace”. (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 13/6/2013, n. 14860; citato Cons. Stato n. 903/2019)
Oltre a ciò deve, comunque, rilevarsi che la previsione, contenuta nel comma 4, dell'art. 64, vada interpretata, alla luce della disposizione portata dal precedente comma 3, in base alla quale “Il giudice amministrativo può disporre, anche di ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione”.
Poiché tale ultima disposizione si connota per “…l'evidente finalità di agevolare la parte privata nella acquisizione al processo di elementi utili alla decisione che non sono nella sua immediata disponibilità ( risultando, invece, in quella dell'amministrazione), è evidente che l'esercizio della facoltà decisoria prevista dal comma 4 può riguardare solo elementi che siano nella esclusiva disponibilità dell'amministrazione e non anche in quella del privato, come devono ritenersi quelli concernenti la data di ultimazione dei lavori”. (Cons. Stato, Sez. VI, 11/12/2019, n. 8424)
Del tutto irrilevante ai fini di dimostrare l’anno di costruzione dell’immobile oggetto di contestazione è risultata, poi, la classificazione urbanistica dell’area su cui il medesimo ricade (zona B.EE1 – di completamento del vigente strumento urbanistico), atteso che dalla stessa non può ricavarsi alcun elemento di prova utile al riguardo.
La constatata abusività dell’opera, inoltre, non poteva venire meno per la conformità della medesima alla strumentazione urbanistica in vigore nel comune appellato.
Non è stato ritenuto, quindi, sussistente alcuna carenza di istruttoria dell’ordine di demolizione e l’eventuale vizio di motivazione della sentenza è risultato assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello.
Infatti, “…in secondo grado il giudice valuta tutte le domande proposte, integrando e correggendo - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le accidentali carenze motivazionali di quest'ultima”. (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 18/4/2019, n. 2973; 6/2/2019, n. 897; 14/4/2015, n. 1915; Sez. V, 23/3/2018, n. 1853; 19/2/2018, n. 1032 e 13/2/2009, n. 824; Sez. IV, 5/2/2015, n. 562)
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto sorretta da adeguata motivazione l’ordinanza.
In particolare, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, “…l’ordinanza di demolizione richiede soltanto l’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, al fine di permettere al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, esulando ogni altra indicazione dal contenuto tipico del provvedimento”. (Cons. Stato, Sez. IV, 31/8/2018, n. 5124; 11/12/2017, n. 5788; Cons. Stato, Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103)
Inconsistente anche la prospettata violazione delle pretese partecipative.
Per pacifica giurisprudenza, “…i provvedimenti aventi natura vincolata, quali l'ordinanza di demolizione, non necessitano di previa comunicazione di avvio del procedimento, ciò in quanto non è consentito all'Amministrazione compiere valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene”. (ex plurimis Cons. Stato, Sez. VI, 13/5/2020, n. 3036; 25/2/2019, n. 1281; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887; Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432; Sez. II , 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386).
Alla luce delle superiori considerazioni l’appello è stato respinto.
Avv. Pasquale Saffioti
(Nella Foto la meravigliosa cornice della #marinelladiPalmi (R.C.) vista dal Monte Sant'Elia di #palmi - foto Vincenzo Randazzo - si specifica che la vicenda oggetto dell'articolo in rassegna non ha alcuna attinenza con il Comune citato e che la superiore immagine è stata inserita al solo scopo di promozione del territorio)
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